Si
è soliti considerare la Grande Esposizione Londinese del
1851 quale momento d’inizio del recupero e del rinnovamento
delle arti minori in Europa, lo è sicuramente per quelle
tessili, che si cominciano a valutare nella giusta misura e
a collezionare. L’invenzione dei telai meccanici per la
fabbricazione perfino dei merletti, il perfezionamento del
“métier Jacquard” per stoffe operate, la diffusione della
macchine per cucire hanno ormai sconvolto il modo di
considerare i tessili, non più concepiti come oggetti
costosi di status symbol, ma semplici componenti di
abbigliamento o di arredo la cui richiesta, indipendente da
qualità tecnica e difficoltà di fabbricazione, è legata
soltanto alle variazioni estetiche decorative e cromatiche.
Proprio un bilancio critico sconsolante relativo al design
eclettico, privo cioè di uno stile particolare, dei prodotti
industriali (e anche nei manufatti), la constatazione
dell’assenza di principi o regolamentazioni nel disegno
ornamentale inducono alcuni artisti e critici a raccogliere
una documentazione nel settore, la più ampia possibile. (…)
Con l’aprirsi del Novecento sarà un susseguirsi continuo
d’iniziative: a San Sepolcro, Ginna e Adele Marcelli
iniziano a lavorare i pizzi ed a organizzare lo loro
“Premiata Scuola”, fin dal 1903 meritevole di medaglie ed
onorificenze; nel 1901 nel Salento, a Casamassella e a
Maglie, nasce la Scuola d’Arte applicata all’industria,
voluta da Carolina Starace De Viti; nel 1903 le signorine
Natham e Onori insegnano alle donne di Antella (frazione di
Bagno a Ripoli, presso Firenze) il ricamo su buratto,
intreccio tessile di rado, molto simile al filet o modano;
nel 1904 sul lago Trasimeno, la marchesa Elena Guglielmi
introduce la lavorazione del pizzo all’uncinetto, quel
“punto Irlanda” che raggiungerà in Orvieto, con l’ars wetana,
risultati estetici qualitativi di eccezionale originalità e
Mario Zennaro (originario di Pallestrina) si stabilisce a
Rapallo, dove importa la lavorazione delle trine lagunari a
fuselli. Si lavora il macramè a Chiavari, il puncetto o
punto avorio in Valsesia, un rustico pizzo al tombolo a
Offida e a Pescostanzo (anche qui per merito della marchesa
De Viti), mentre in Sicilia si mantiene viva la tradizione
degli sfilati a Ragusa e a Mirabella Imbaccari, la baronessa
Auteri nel 1910 istituzionalizza una scuola di merletto a
fuselli. Tutte queste iniziative e molte altre ancora, sono
in parte stimolate dalle Industrie Femminili Italiane,
costituitesi ufficialmente nel maggio 1903, con sede a Roma.
Lo scopo è di creare “ un vigoroso strumento di economia
commerciale, che apra le vie internazionali ai prodotti
femminili italiani, educandoli pazientemente coi consigli
dell’arte alle forme più elette”, in grado di “ eliminare
gli intermediari che sfruttano il timido lavoro delle
donne”.
La qualità dei manufatti è garantita da un comitato
di ventiquattro signore, coadiuvato da comitati regionali e
locali, “ che sorveglia il movimento artistico
dell’azienda”, lo dirige “ coi consigli, coi modelli, colle
ispezioni” e giudica “ inappellabilmente sull’accettazione
delle merci e sul loro prezzo di costo”.
Francesca Bencivenni
Testi
tratti da:
·
Aemilia Ars 1898-1903 Arts & Crafts a
Bologna - A+G Edizioni
·
Merletti e ricami della Aemilia Ars - University Press Bologna
Le parti in corsivo sono state aggiunte da
me.
Foto tratte da:
·
Merletti e ricami della Aemilia Ars - University Press Bologna
·
L’Aemilia Ars di Antonilla Cantelli - Nuova
S1 Bologna
·
Aemilia Ars 1898-1903 Arts & Crafts a
Bologna - A+G Edizioni