MICHELUCCI,
Giuseppe. – Nacque a Pistoia il 28 sett.
1834 da Gaetano e da Maddalena Marini.
Le disagiate condizioni economiche della
famiglia gli impedirono di frequentare
un sia pur breve ciclo di istruzione e a
soli sette anni iniziò a lavorare come
apprendista presso alcuni laboratori
artigianali cittadini impegnati nelle
lavorazioni di ferro e rame.
La diffusione di queste botteghe a
Pistoia, se per un verso confermava
l’antica vocazione dell’economia locale
per la metallurgia, ne aveva dall’altro
impedito l’evoluzione verso forme di
produzione più qualificate ed evolute,
rimanendo confinato come lavorazione
essenzialmente artigianale.
Alla crescita delle capacità
professionali del M. contribuì un
soggiorno a Follonica (1846-49), dove si
recò insieme con il padre per fare
pratica d’officina presso la locale
Fonderia del ferro.
Il pendolarismo stagionale di mano
d’opera specializzata pistoiese verso il
complesso maremmano, all’epoca il più
importante tra gli impianti gestiti
dall’ente statale che deteneva il quasi
monopolio dell’industria siderurgica in
Toscana, era una pratica in atto da
lungo tempo, ma quando il M. vi approdò
era in corso, ormai da un decenniodove
vi era un reparto sperimentale di
fonderia artistica. L’evoluzione in
questo campo era il frutto dell’impegno
di una generazione di tecnici quali
Alessandro Manetti, Raffaello Sivieri e
Carlo Reishammer, che, incoraggiati
dallo stesso granduca Leopoldo II,
avevano saputo cogliere le nuove
opportunità di lavoro legate al
crescente impiego di ferro e ghisa in
ambito architettonico sia nelle
costruzioni sia nell’arredo urbano.
L’esperienza maremmana si chiuse nel
1864 quando tornò definitivamente a
Pistoia per assumere la direzione
dell’officina Palandri. Alla morte del
titolare (1871) ne rilevò l’attività,
trasferendola successivamente nel
conservatorio degli orfani che, per
volontà testamentaria del suo promotore,
il filantropo Niccolò Puccini, era stato
organizzato fin dal 1865 sulla base di
una serie di laboratori destinati
all’addestramento professionale. Nel
1877 al M. fu affidata la responsabilità
di quello dei fabbriferrai, fornito di
una macchina a vapore con caldaia
verticale della potenza di 4 cavalli
dinamici, di alcuni torni e di varie
altre attrezzature minori. Il legame con
il conservatorio degli orfani fu
mantenuto fino al 1907 ma, dal 1884, la
ditta Michelucci e figlio preferì
trasferire buona parte della propria
attività in un edificio in zona Porta
Barriera, al di fuori delle mura
cittadine.
A rivelarsi decisiva fu soprattutto
la collaborazione intrapresa con alcuni
promettenti esponenti della scena
architettonica toscana quali il
pistoiese Alfredo Melani e i fiorentini
Marco Treves e Riccardo Mazzanti.
Quest’ultimo in particolare, redattore
dei Ricordi di architettura, provvide a
far conoscere nella rivista alcune delle
opere più significative realizzate
dall’impresa, quali la balaustra in
ferro battuto per l’altare maggiore del
duomo di Pistoia (1880); la struttura in
vetro e ferro per la grande serra
(tepidario) ideata da Giacomo Roster per
il giardino d’orticoltura di Firenze
(1880) e, sempre nel capoluogo toscano,
la cancellata per la chiesa ortodossa
(1900). A essi si vennero poi
affiancando il cancello d’ingresso del
ministero della Guerra a Roma (1886),
nonché alcuni lavori commissionatigli
dal principe Piero Strozzi in occasione
degli importanti lavori di
ristrutturazione (anni 1886-89) del suo
celebre palazzo fiorentino.
Nel 1891 il M. realizzò una delle opere
più impegnative, la fusione dei lampioni
per il monumento alla Libertà di Bahia
in Brasile. Tra i lavori dell’ultimo
periodo si ricordano le inferriate e il
grande lucernario della nuova sede della
Cassa di risparmio di Pistoia,
inaugurata nel luglio 1905 alla presenza
del re Vittorio Emanuele III. Degna di
nota, infine, la sensibilità dimostrata
nei primi anni del Novecento per le
nuove tendenze in atto in architettura e
nelle arti applicate, come quella
rappresentata dall’avvento del liberty.
Le opportunità in questo campo gli
vennero offerte dalla collaborazione con
l’architetto fiorentino Giovanni
Michelazzi (1906-07).
La notorietà e i consensi riscossi dal
M. e dalla sua impresa nel campo dei
lavori di ornato in ferro e nelle
fusioni artistiche furono del resto
testimoniati dai numerosi riconoscimenti
ottenuti in occasione di varie
esposizioni sia in Italia sia all’estero
(Francia, Spagna, USA) nonché dalla
nomina dello stesso M. a cavaliere del
lavoro (1904).
Il M. rimase sino alla fine alla guida
dell’impresa che aveva fondato e che,
nel momento di massima espansione, alla
metà degli anni Novanta, era arrivata a
contare 60 dipendenti, in quanto i suoi
propositi di ritiro furono frustrati
dalla prematura scomparsa, avvenuta nel
1906, del figlio primogenito Bartolomeo
(nato nel 1861) che dall’età di
vent’anni lo aveva costantemente
affiancato.
Il M. morì a Pistoia il 30 marzo 1910.
Opere:
Lampioni della
stazione ferroviaria di Pistoia
Fonti e Bibl.: Il lavoro più
importante sulla vita del M. e
sull’impresa da lui fondata è l’opera a
più voci Le Officine Michelucci e
l’industria artistica del ferro in
Toscana (1834-1918), a cura di M. Dezzi
Bardeschi, Pistoia 1981. Ulteriori
informazioni in Notizie sulle condizioni
industriali della provincia di Firenze,
in Annali di statistica, LV (1895), p.
39 e in G. Chelucci, Architettura e arti
decorative a Pistoia tra eclettismo e
modernità, in Storia di Pistoia, IV,
Nell’età delle rivoluzioni 1777-1940, a
cura di G. Petracchi, Firenze 2000, pp.
669-671, 679 s., 683.
Estratto dalla biografia di M.
Lungonelli