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Emilio  Longoni
  ( Seveso 1859 - Milano 1932 )  

pastellista

Per Longoni il Novecento si apre con il grande pastello di Sola!. L'opera, condotta sui toni dell'azzurro, del giallo, del rosa e dell'aranciato, ha come tema lo strazio del dolore materno per la perdita di un figlio; si è ormai completata sia una vera rivoluzione cromatica che libera il Divisionismo dell'artista dalle residuate tonalità brune, sia il rinnovamento della grafia pittorica, che ora si caratterizza per i sottili filamenti di colore, accostati puri o a impasto, che seguono e costruiscono i volumi.

La giovane donna, della quale è negato il volto, è raffigurata in controluce, le mani strette in un gesto disperato, abbattuta sul piano di un semplice tavolo in legno scuro. I gigli che ricoprono la bara, in primissimo piano e il cero acceso suggeriscono la lettura tematica della scena coniugando la fedeltà al Realismo con una controllata adesione al Simbolismo.

Sola!, per il cui titolo Longoni è debitore ad Ada Negri che in Fatalità aveva pubblicato un'omonima lirica (1892), è un'opera che condivide le istanze simboliste degli ultimi anni del secolo, ma è anche un'opera moderna, in cui l'artista rivela un'inedita attenzione per i particolari decorativi. All'interno di una cornice trompe-l'oeil che Longoni riquadra a pastello, si noti infatti la felice insistenza descrittiva nella sedia ­ ripetuta due volte ­ in ebano intarsiato d'avorio, metallo e cuoio, opera del laboratorio artigiano di Carlo Bugatti, oggetto che faceva parte dell'arredamento della casa-studio di Longoni. E ancora il tavolo nero con il motivo a denti di lupo, la tappezzeria a fiori geometrici, particolari tratti dalla realtà ma che acquistano un nuovo significato per il loro rilievo nell'insieme della scena.

La tecnica del pastello, fondamentale nello sviluppo del nostro Divisionismo, era ormai padroneggiata al limite del virtuosismo, rispettando nel contempo la tecnica della divisione dei colori, con cui Longoni affrontava il passaggio tra la luce e l'oscurità ­ si veda l'ombra della sedia, le modulate trasparenze nelle tende rese con una fitta tessitura di filamenti divisi che a volte seguono il verso del disegno, come nell'abito della madre e nei suoi capelli in controluce, o ancora si fanno pulviscolo colorato e vibrante, come nello squarcio di paesaggio al di là del vetro e nella tappezzeria decorata.

Già nei primissimi anni del Novecento Longoni dimostrò di aver profondamente compreso i particolari equilibri del paesaggio d'alta montagna. Qui fu infatti differente la percezione del tempo, dello spazio, del colore, della luce. Come ben sanno gli alpinisti veri, in alta quota il tempo è dilatato dallo sforzo impiegato per compiere pochi metri, e così dilatato è lo spazio. Mutano anche i colori che da colori vivi e netti, in un'aria senza polveri o vapori, si fondono in una gamma di colori pastello, grigio chiaro, azzurro, malva, rosa, in una atmosfera irreale. Longoni, in opere come Alba fece suo il ritmo della montagna, tendendo all'osservazione e alla resa oggettiva del paesaggio, tradotte con una completa padronanza dei principi del Divisionismo ­ ormai docile strumento linguistico ­ e svolgendo il dato naturalistico in simbolo, la bellezza della natura incontaminata in valore universale, senza tempo.

Ai rari visitatori che alla fine della vita accoglieva nel suo studio, Longoni confessò che i suoi quadri non erano mai finiti: continuava a elaborarli, tocco dopo tocco, per moltissimo tempo, ossessionato dalla profondità della visione, quasi che il supporto-tela e lo spazio dell'oggetto-quadro non gli bastassero più. Ripeteva che bisognava andare oltre la tela, immaginare di essere immersi nel paesaggio, al di là della superficie dipinta.

Venuti a mancare Segantini e Pellizza ancora agli inizi del secolo, quando il Divisionismo era avanguardia, emigrato in America Attilio Pusterla, scomparsi nel 1917 Sottocornola e nel 1919 Morbelli, indirizzati verso la decorazione e il dannunzianesimo Previati e Nomellini, abbandonata l'attività di pittore Vittore Grubicy, solo Longoni rimase per portare alle ultime conseguenze le esperienze che avevano avuto una comune matrice teorica.